La terza ultima notte

7 gennaio 2007

E’ quella che non è mai cominciata perché già finita. E’ fatta da due specchi che non smetterebbero mai di guardarsi, due specchi che si infrangono alle prime luci di un nuovo giorno. E’ una creatura morta che non sarebbe dovuta nascere e che forse non è nata. Una creatura morta per troppa fame che non poteva essere saziata. E’ un aborto doloroso, inevitabile, tanto era il desiderio di una nuova vita e così poche erano le possibilità di vederla fiorire.
I due specchi si sono sfiorati, si sono specchiati, poi si sono allontanati. Nel vuoto si sono insinuate le domande e presto sarebbero sbocciati i rimpianti, ma non si poteva, troppo semplice, troppo banale.
Quella notte una ragazza ha perso un treno sotto il quale avrebbe voluto finire schiantata, quella notte un ragazzo non ha trovato niente di meglio da ricordare di un cielo all’alba dentro il quale sarebbe voluto precipitare.
Sembrava tutto così plausibile, sembrava tutto così romantico, era tutto così stupido, prevedibilmente.
Prima sono state le mani, poi gli odori, poi soltanto gli occhi, alla fine nient’altro che immagini sempre più sfocate.
Sembrava tutto così poeticamente giusto, talmente giusto che quei due ragazzi se ne sono accorti subito della stronzata che avevano appena messo in scena, se lo sono anche sussurrato.
Quando il baratro si è aperto quella notte ha provato a ricucire lo squarcio, con tutte le sue forze, senza nessuna speranza, ma non lo sapeva, non poteva.
In quel momento, quella notte ha capito che non sarebbe bastata. Non basta la notte, non sempre.

La seconda ultima notte

2 ottobre 2006

Salutare per scherzo. Forse per dovere, per non lasciare niente di intentato, per mettere l’ennesimo seme in una terra quanto mai vogliosa di veder nascere un fiore. Perchè alle cinque del pomeriggio a certe latitudini di solito si è già bevuto a sufficienza, perchè non ti dispiace e certe controversie da reception ti hanno colpito, ok sei solo più recettivo.
Chiacchierare per scherzo. Per continuare quello che si era cominciato, per dare acqua a quel seme interrato qualche ora prima, per ingannare il tempo tra un bicchiere e l’altro. Perchè intorno a quel tavolo, di fronte a quel piatto tipico italiano c’eri tu e c’era lei e c’erano tanti altri, ma lei era decisamente meglio, perchè si fa gioco di squadra, perchè si fa cameratismo, perchè alle dieci di sera a certe latitudini si è già bevuto oltre la sufficienza.
Baciare per scherzo. Per dare un senso a tutto l’ottimo slang esibito fino a quel momento, per infliggere un colpo letale ai tempi morti che puntualmente muoiono sempre di più, per verificare finalmente se la terra ha finalmente partorito un fiore, un germoglio. Perchè ad un certo punto le parole finiscono e in una lingua che non è la tua quel certo punto arriva ancora prima, perchè la psichedelia può risultare simpatica ma dopo un po’ perde la sua efficacia, perchè all’una di notte a certe latitudini si è già bevuto.
Baciare sul serio. Per soffocare il magone che prende quando si pensa che tutto questo finirà, che tutto questo se ci pensi solo un secondo sta già finendo e se ci pensi ancora un attimo è già finito, per non pensare, per succhiare un sapore e cercare di incollarlo sulle tue papille, per non dimenticarlo, per raccogliere quel fiore che tanto hai curato e altrettanto aspettato. Perchè ad un certo punto le parole non servono e una lingua che non è la tua sta lì a ricordartelo, perchè alle tre di notte a certe latitudini quello che si è bevuto è ormai stato scaricato in mare.
Chiacchierare sul serio. Per stillare pezzi di lei da ogni sua parola, da ogni suo sguardo, da ogni suo gioco, per farsi promesse da bambini, per credere a quelle promesse dimenticando quante volte le hai viste morire col tempo, affamate, assetate. Perchè il tempo sta per finire, perchè ti è venuta fame, perchè lo sapevi che sarebbe andata così, perchè alle cinque del mattino a certe latitudini non ci sono alternative e il copione è soltanto uno e ti tocca seguirlo fedelmente.
Salutare sul serio. Per la prima volta, poi per la seconda, sapendo che ognuna di queste potrà essere l’ultima, per l’ultima volta, per non dimenticare, per deporre sul suo seno quel fiore che tolto alla sua terra piano piano perderà la sua bellezza. Perchè il tempo finisce, perchè gli aerei partono, perchè domani è oggi, perchè i due mondi si sono incontrati e adesso devono separarsi, perchè questo copione lo conosci molto bene, perchè alle sei del mattino anche a certe latitudini è troppo presto per iniziare a bere.
Perchè qualcuno cantava che niente è per sempre, ma tu ricordi che qualcun altro cantava che niente finisce davvero.

La prima ultima notte

4 settembre 2006

Facciamo un rapido passo avanti, rivedo in scorrimento veloce le scene che ci conducono fino al punto che intendo usare come partenza. Vedo gente cadere, burattini impazziti schizzano alla velocità della luce per portarmi fino al momento decisivo. Ecco, ancora un altro po’. Bene possiamo fermarci qui, può andare bene.
Due giovani si baciano teneramente, lui le tiene il viso fra le mani mentre lei dice che non lo dimenticherà, ha tutta l’aria di essere un ultimo bacio, un addio. Lui sembra un po’ sfatto, forse si sta commuovendo, forse semplicemente non ci sta capendo un cazzo e trattiene il conato a stento. Lei sembra essere quasi riconoscente, ma da come ondeggia neanche lei deve essere al massimo della forma. Ma è una bella scena, anche l’autista del bus alle loro spalle deve pensarla così, scommetterei di averlo visto tirare su con il naso commosso. Ecco che lei sale a bordo, prende il suo posto, un ultimo sguardo a terra e via. Lui resta solo con un indirizzo fra le mani, un po’ spaesato, Empty Alcohol Bottle delle Ian Fays come sottofondo. Si dirige verso la metropolitana, poi torna su preso da un raptus di romanticismo, inizia a camminare con la città che si risveglia sotto di lui, un po’ alla volta.
Titoli di coda.
Ecco questa scena, la sua drammaticità, il potere di quell’addio così struggente, quegli occhi che non sembravano volersi perdere di vista, questo è la scena che mi interessava mostrare. Un momento molto cinematografico, seppure un po’ scontato, d’altra parte la vita è scontata. Le vite di quei due ragazzi erano normali, azzarderei quasi banali almeno per quanto riguarda il protagonista maschile. Ma la vita non fa schifo per questo, riesce talvolta a sorprenderti e lo fa proprio mentre hai infilato le dita nel naso.
Si perchè la poesia si concentra tutta in questa scena finale, in questo lungo (neanche tanto) bacio finale di due persone che non si rivedranno mai più. Si perchè se prendi tutta la storia che ha condotto a questo momento non è poi granchè, anzi, diciamo che è quasi di merda. A dimostrare la teoria per la quale l’esistenza tende per lo più ad essere piatta.
I due ragazzi in questione sono arrivati alla stazione sudati, prendendo un taxi solo quando le loro esigue casse gli permettevano di coprire la distanza. I due ragazzi avevano entrambi esagerato con gli alcolici e si erano trovati insieme solo per selezione naturale, tutti gli altri erano caduti in battaglia, uno alla volta, uno a uno. Il ragazzo non aveva neanche dove passare la notte, fatta eccezione per una scomoda sedia di una reception, abusivamente. Naturale che si fosse offerto per quella breve scampagnata, se non altro per riuscire a far passare le ore notturne in maniera più scorrevole. D’altra parte lei non aveva declinato l’invito, aveva esagerato lo abbiamo detto, da sola forse nemmeno ci arrivava su quel bus. Insomma niente amore travolgente, niente passione, niente di niente.
Non era nemmeno l’ultimo bacio pensandoci bene, anzi lo era, ma si commetterebbe una grave leggerezza omettendo il dettaglio che era anche il primo bacio.
Primo e ultimo se messi insieme diventano unico, come quella notte, quella loro ultima notte. Ecco deve essere stato questo che mi ha colpito. Basta, nient’altro.