Diamonds on the inside

29 dicembre 2006

Questa pagina bianca di merda mi guarda, curiosa, severa. Vuole che la completi, che la segni con le mie parole e mi guarda. Che vuoi che ti scriva? Si, è vero, di cose da dire ne avrei, ma non è colpa mia se si perdono un attimo prima di essere sputate fuori. E’ la paura che mi fotte, le vedo le parole mettersi in cerchio intorno a me e prendermi per il culo, bastarde, mi scoprono incapace di esprimere quello che ho dentro.
Per esempio vorrei scrivere a te, dirti che mi piacerebbe che tu avessi tutto il meglio che c’è, ma poi, come al solito, mi perdo nella forma, nei dettagli, nel dubbio, ce lo metto o non ce lo metto un pezzo di me. Così non trovo di meglio da fare che bere, dico, mi verrà qualcosa fuori con più facilità, poi non mi viene, l’italiano non si vuole piegare alle mie sensazioni e allora dormo, sperando di sognarle quelle parole. Inutile parlare del risultato, nessuno.
Un po’ di maieutica, quello mi ci vorrebbe, qualcuno che sappia tirarle fuori le cose che mi galleggiano in testa, un aiuto, che cazzo. Ma evidentemente è chiedere troppo, per questo mi rassegno e parlo dell’assenza di parole, dell’assenza di azioni, dell’assenza, tutto qui.

Solo un pensiero

23 dicembre 2006

Ci sono dei posti che sono ancora “vivi” per il solo fatto di essere collocati nel mondo. Se così non fosse sarebbero ancora alle prese con le scintille per veder sbucare la prima fiammella. L’inconsapovolezza di tutto questo da parte di chi li abita rende solo meno doloroso il mio prenderne atto. Piuttosto che restare gelosamente attaccato ai miei pensieri, alla mia vita, scelgo l’imbarbarimento anche io.
Questi posti se non fossero nel bel mezzo del mondo sarebbero entrati in un circolo vizioso e monotono in cui tutti i giorni, gli anni e le ere sarebbero passati uguali. Forse anche le stagioni sarebbero state sconfitte, forse anche la morte.

Dirlo meglio

13 dicembre 2006

E’ passato più di un anno da quando scrivevo un post in cui immaginavo un’esistenza al contrario. Alla fine mi sono chiesto come sarebbero state le nostre vite se il ciclo biologico fosse al contrario? Non mi diedi una risposta.
Oggi sul suo blog Efraim Medina Reyes risponde a quella domanda. Molto meglio, si vivrebbe molto meglio, per una serie di motivi.
Poi si capisce perchè io continui a scrivere imperterrito di stronzate di vario tipo su un’inutile quanto sconosciuto blog mentre le sue di stronzate vanno sull’Internazionale.
Questione di stile.

Same ghost every night

7 dicembre 2006

Le notti qui passano tutte uguali. Il mio orario preferito è dopo la mezzanotte. In quel momento tutto si riveste di una luce calda, avvolgente. L’odore di vodka risale lungo le pareti dei nostri apparati digerenti e si spande tutto intorno. L’orchestra ci suona Davni Chasy o qualche altro canto popolare e noi balliamo scambiandoci donne, promesse e illusioni. Per un attimo posso dimenticare che fuori c’è la neve, che non ho una casa dove dormire e non ho un lavoro fisso (non ho un lavoro). Non ho nemmeno tanti soldi (non ho soldi), ma abbastanza per potermi prendere questo pezzo di questa lurida città ogni santa notte.
Questo non è un posto pericoloso, proprio no. Certo ogni tanto qualcuno ci resta secco, c’è sempre qualche bicchiere troppo vuoto e qualche problema da regolare. Ma tutto finisce nel momento dello sparo e dei successivi cinque secondi. Il botto zittisce tutti per un secondo, anche la banda si ferma, il tempo di capire che è tutto tranquillo, che qualcuno trascinerà fuori lo sventurato dai piedi, poi con un cenno del violinista tutti riprendono a suonare, Davni Chasy ancora. Ricomincia la vita, prepotente e strafottente.
Di solito le serate qui non finiscono mai alla chiusura. Noi disperati abbiamo un disperato bisogno di condividere la nostra miseria con quella dei nostri simili, per misurarla, per sentirla meno drammaticamente presente. Così finiamo per trovarci un buco da dividere con l’amore di una notte, diverso ogni notte, ma così simile a tutti gli amori vissuti.
Quando il sole risale ad illuminare questa pallida terra per noi è tempo di sparire, di riposare in attesa del prossimo giro che dista solo dodici ore e qualche corsa fuori da un supermercato.
A colpi di dodici ore alla volta arriveremo alla fine, senza onori e senza infamie, avremo i nostri cinque secondi di silenzio dall’orchestrina. Perché la gente di qui, quelli come me, non possono sperare in niente, la buona quanto la cattiva sorte non ci considera, semplicemente non siamo in lista. Viviamo in un limbo fatto di piccoli giorni tutti uguali, dove non ci sono emozioni, non c’è speranza. Solo bevute di pessima qualità, sensazioni avariate e sottoprezzo, donne troppo truccate per nascondere gli anni che sono sempre troppi o troppo pochi.

minipost #34

1 dicembre 2006

L’AIDS non esiste.